Gas e Monumenti

Ricordo che quando furono riaperti al pubblico i locali del Vittoriano (Altare della Patria) a Roma fu chiesto a Bruno Zevi, architetto e critico d’arte, un commento. Lui senza scomporsi più di tanto affermò la positività dell’evento, in quanto, aggiunse, un monumento così brutto come il Vittoriano era giusto avercelo sotto i piedi, calpestarlo, perché così lo si poteva considerare per quello che era.


Senza cercare paragoni con la cultura e conoscenza di Bruno Zevi, devo confessare un sentimento contrastante nei confronti della statua che è stata inaugurata, dedicata a Giorgio Parodi come co-fondatore della Guzzi.


Intanto, niente evoca il celebre marchio di moto, mentre ci ritroviamo rappresentato un uomo in divisa della regia aviazione, che per il signor Parodi ha significato prima guerra mondiale e successivo impegno come volontario nella guerra coloniale in Etiopia nel 1935 dove si guadagnò pure una medaglia di bronzo al valor militare.


Tutto normale? Non direi proprio. Le guerre coloniali furono uno dei punti più bassi toccati dal regime fascista e degne di rientrare a pieno titolo nei crimini contro l’umanità. In particolare, fu proprio la regia aviazione (divisa raffigurata nel monumento a Giorgio Parodi) ad avere il monopolio delle gasificazioni con l’iprite dei resistenti e delle popolazioni etiope.


il ricorso agli aggressivi chimici da parte di Mussolini, Badoglio e Graziani è importante non (solo) in sé, bensì in quanto evidenzia molti aspetti del regime fascista e della sua guerra coloniale: l’inclinazione ad avere in spregio l’ordine internazionale e le stesse convenzioni siglate dal fascismo (si ricorderà che Roma aveva aderito al bando degli armamenti chimici nel 1925); la straordinaria capacità della macchina della propaganda di regime nel distrarre l’attenzione, negare l’avvenuto e mantenere il silenzio su un fatto evidente (appunto, il ricorso ai «gas»)”
Nicola Labanca

Gli aerei dell’8a, 9a e 17a Squadriglia rovesciavano, il 22 e 23 dicembre 1935, sui guadi del fiume Tacazzè e dei torrenti Buffa e Golimà e sulle località di Dembeguinà, Addi Rassi e Mai Timchet, tonnellate di bombe ad alto esplosivo e 42 bombe C.500.T caricate a iprite. A farne le spese in quella prima occasione fu l’armata di ras Immirù Haile Sellase.

Fu l’impiego su larga scala delle bombe C.500.T a iprite (quasi 300 tonnellate sul solo fronte settentrionale) a suscitare le denunce abissine e a commuovere l’opinione pubblica internazionale

L’iprite era un liquido corrosivo, i cui vapori (prodotti da un’esplosione) erano mortali, ma che agiva soprattutto sotto forma di goccioline, che penetravano attraverso gli indumenti e la pelle, producendo lesioni interne di varia gravità, fino alla morte, anche a distanza di uno o più giorni. La persistenza sui terreni irrorati era un’altra delle caratteristiche tossiche di questa sostanza.

Il numero delle azioni, le squdriglie impiegate le quantità di bombe sganciate sono il frutto di un accurato lavoro messo insieme da Roberto Gentili che attingendo agli archivi dell’aviazione desecretati dall’allora Governo Dini portano un importante contributo di conoscenza su questa disonorevole vicenda esposta sul testo di Angelo Del Boca “I gas di Mussolini”

Su tutto questo per anni c’è stata un’ostentata omertà negando l’operato degli occupanti nelle ex colonie. Lo stesso Montanelli che sbandierò la pratica del madamato (ragazzine poco più che bambine date in spose a notabili o militari colonialisti) negò che in quella guerra si fosse fatto uso del gas, per poi doversi smentire nel momento della pubblicazione del testo di Del Boca confortato dalla documentazione desecretata degli archivi dell’aviazione.

Concludo con la stessa perplessità iniziale: dobbiamo considerare quel monumento il simbolo all’infamia italiana e approfittarne per fare conoscere meglio i crimini del regime fascista e di coloro che abbracciandone la fede se ne resero complici? Sicuramente un ripassino per i membri della giunta che hanno approvato il monumento non guasterebbe, come non guasterebbe che nelle scuole fosse narrata una storia che esca dalla retorica degli “italiani brava gente” perché in quelle terre abbiamo solo anticipato le pratiche che i nazisti avrebbero applicato su scala industriale per sopprimere milioni di internati nei campi di sterminio.

Quel monumento a Giorgio Parodi è brutto di per se e quella divisa evoca, perché un monumento deve evocare qualcosa, il peggio che come italiani siamo riusciti ad esprimere durante il colonialismo in Africa.

Loris Viari
Testo di riferimento “I gas di Mussolini” di Angelo Del Boca

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