16 giugno 1944


“A cercare di dare qualcosa da mangiare o qualcosa da vestire, alla stazione di Bolzaneto si ritrovarono diverse donne, alcune madri, fidanzate e mogli degli operai rastrellati nelle fabbriche di Sestri Ponente quel 16 giugno.
Tra queste, mia nonna che cercava di scorgere suo figlio (mio padre) tra le fessure chiuse dal filo spinato dei carri ferroviari, per allungargli qualche indumento. Nel momento stesso in cui i carri si muovono lentamente nella stazione, mia nonna scorge mio padre che é scampato fortunosamente al rastrellamento, uscendo dall’ancifap e sta rientrando a casa, sita proprio in faccia alla stazione.
Senza esitare, quelle cose che aveva tra le mani e che avrebbero dovuto servire a suo figlio vengono passate a mani che si protraevano dalle anguste feritoie di quei carri diretti ai lager. Poi furono le percosse dei militi della GNR con il calcio del moschetto che le allontanò dal treno che lentamente si dirigeva a nord, con destinazione a loro sconosciuta.
La solidarietà fu un grande insegnamento proveniente da quelle che saranno le pagine a volte più tragiche della Resistenza Italiana.”


Perché quella deportazione? La contabilità che gira intorno alla ricerca di lavoratori disposti ad andare a supportare lo sforzo bellico in Germania in maniera volontaria e coatta, rischia di farci perdere di vista il ruolo che ebbe il movimento operaio nella Resistenza. Una Resistenza che inizia ben prima dell’8 settembre e che dopo la sconfitta della Germania a Stalingrado prende forma, ad esempio, a Torino con gli scioperi del marzo 1943. È una organizzazione capillare e attenta, quella che porta agli scioperi del 43 prima e dei primi mesi del 44 dopo. Sono i GAP, le SAP e i gruppi di difesa della donna i principali protagonisti nell’organizzazione di questa lotta. Il carattere politico contro il regime è evidente ed è la dimostrazione che la lotta al fascismo è anche lotta sociale.

Proprio durante una permanenza a Genova dove era stato chiamato per dare supporto all’organizzazione degli scioperi nel 1944, viene catturato, torturato e fucilato il capo dei GAP, il Comunista Giacomo Buranello.
Più che l’occupazione tedesca, in discussione viene messa la tenuta stessa del fascismo, ed è proprio per questo “affronto” che il Prefetto Basile sarà tra i principali protagonisti della repressione operaia che portò al rastrellamento del 16 giugno 1944, considerata una delle più imponenti deportazioni operaia in un unico episodio del periodo bellico.

La grande maturità del movimento dei lavoratori genovesi consentirà nel momento della disfatta nazifascista di preservare da distruzione e dalla razzia le macchine adibite alle produzioni nelle fabbriche genovesi, come i portuali salvarono il porto che era stato minato dai tedeschi in fuga.

Anche da parte dei lavoratori deportati, continuò una Resistenza sotterranea ma molto significativa nei campi dove erano internati dove erano adibiti a produzioni belliche. A rischio della propria vita, con la capacità lavorativa che aveva acquisito questa generazione di lavoratori, fino a definirla aristocrazia operaia, sistematicamente insinuavano falle nelle macchine in produzione che le avrebbero rese inservibili in poco tempo.

Questo è il 16 giugno e questa è una eredità culturale e politica di cui fare memoria è un dovere irrinunciabile, soprattutto nel momento in cui il lavoro viene banalizzato con precarietà e mancanza di dignità. Lavoro senza dignità non è Democrazia. Non è la Democrazia per la quale hanno pagato duramente quei lavoratori caricati a forza sui carri con destinazione Mauthausen

Loris

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